“Omero non esiste” la scrittura collettiva secondo Paolo Agaraff

In occasione dell’uscita del loro ultimo romanzo “Il quinto cilindro”, abbiamo chiesto al collettivo Paolo Agaraff, ovvero, a Gabriele Falcioni, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini, di spiegarci ancora una volta cos’è la scrittura collettiva.

Questo è il primo di una serie di quattro post che, vi accorgerete, hanno un tono ben diverso dagli approfondimenti pubblicati fino ad oggi sullo stesso tema, grazie alla collaborazione dei collettivi di scrittura KaiZen e SIC.

Anche se il titolo “Omero non esiste” lascerebbe intendere tutt’altro, per il collettivo Agaraff, attivo dal 2002, c’è un che di erotico nello scrivere insieme.

Ebbene sì, il celebre autore dell’Odissea, probabilmente, non è mai esistito, e l’Odissea è in realtà il frutto delle leggende raccolte da mille cantastorie, per essere poi distillate da uno o più scrittori greci, altrimenti noti come Omero. L’omerico processo, in fondo, altro non è che un riuscito esempio di scrittura collettiva.

Quali sono i caratteri che l’hanno reso un best seller di lunga durata?
Prima di tutto la storia: una storia coerente e affascinante, con personaggi tangibili, umani, reali, nonostante la dimensione fantastica. Tutti, dèi e mortali, indifferentemente.
Poi l’uniformità di stile, nonostante l’origine articolata.
Ciò indica chiaramente che il/gli scrittori avevano una visione condivisa del tema, un immaginario in comune, e una gran dote: il dono di saper raccontare una storia.

Da qui emergono i punti cardine della scrittura collettiva: condividere un immaginario e convogliarlo in un metodo narrativo accettato da tutti i partecipanti. Se poi ci si chiama Omero, il gioco è fatto.

Questi principi base, a ben pensarci, non si differenziano troppo da quelli alla base del gioco di narrazione o di ruolo: i giocatori condividono una storia, calata in un comune immaginario, e sviluppano le vicende dei loro personaggi nell’ambito di quella cornice, arricchendo e modificando a volontà la sceneggiatura. Grazie a questo processo, la storia perde parte della struttura fissata nel canovaccio iniziale e diventa viva, interattiva. L’esperienza di gioco dimostra sperimentalmente che la conflittualità costituisce il primo motore della narrazione.

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Tutto questo discorso non è casuale: ben due terzi di Paolo Agaraff arrivano dal mondo del gioco di ruolo, e infatti il progetto Agaraff è stato animato sin dall’inizio da forti contaminazioni ludiche e da una gran voglia di raccontare. Possiamo dire che la scrittura collettiva, declinata nel vocabolario di Agaraff, è un incrocio formalizzato tra il gioco di narrazione e l’opera di un cantastorie.

La formalizzazione è un passaggio essenziale: è necessario darsi regole, e costruire il processo in modo chiaro e articolato, altrimenti la scrittura narrativa diventa una cacofonia priva di costrutto, e ci si perde nel gran caos dei propri individualismi.

Scrivere assieme, diventa tanto più complesso quanti più sono i partecipanti del gruppo. Come Agaraff (costituito da tre membri), abbiamo avuto modo di sperimentare cosa succede allargando la posse. Dopo l’esperimento riuscito di Paolo Agaraff, è nato Pelagio D’Afro, altro autore multiplo quadricefalo costituito al 50% da due terzi di Agaraff, e quindi la Carboneria Letteraria: un’associazione di circa venti autori che collaborano a progetti e antologie.

Via via che il numero degli scrittori cresce, diventa più difficile, sfidante, definire gli obiettivi, ma anche più esaltante il risultato. Se in tre o in quattro è relativamente facile definire un metodo per sviluppare un romanzo, mantenendo uno stile uniforme, in venti diventa quasi impossibile, e gli obiettivi devono per forza diversificarsi: meglio antologie di racconti e contaminazioni tra autori singoli e autori multipli.

Scrivere è un meraviglioso processo creativo. Scrivere da soli soddisfa al massimo il nostro narcisismo: è un po’ come fare l’amore con se stessi. Una masturbazione mentale in piena regola. Scrivere in tre è come gestire un ménage à trois: può dare soddisfazioni, ma impone l’adozione di un metodo ben definito. Scrivere in venti è come partecipare a un’orgia: senza organizzazione sono probabili grosse sorprese sgradite. Ma se c’è affiatamento, il divertimento è assicurato. Per chi partecipa e per chi legge.

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