Web 2.0: cosa c’è di veramente nuovo nel panorama letterario?

Abbiamo chiesto a Francesca Giuliani, autrice della tesi “Se una notte di inverno un internauta”, se dopo aver analizzato la scrittura creativa ante e post Internet, si possa constatare l’esistenza reale di una nuova letteratura, quella che lei stessa definisce una letteratura da blog.

A questa domanda Francesca risponde con un’altra domanda contenuta nelle conclusioni della sua tesi: perché dovrebbe esserci qualcosa di nuovo? O meglio, perché se compriamo telefoni di ultima generazione le nostre conversazioni non diventano più interessanti?

I media non sono in grado di produrre contenuto da soli, quindi dal punto di vista strettamente letterario di nuovo non c’è nulla.

Il web è un’infrastruttura connettiva il cui fulcro sono le relazioni tra persone. Il web non è un contenuto in sé stesso, ma un sistema di organizzazione del contenuto. Non è pertanto in grado da solo di offrire nuovo sapere (generale e letterario), è però in grado di renderlo orizzontale, o quantomeno più accessibile. Esso può servire come cassa di risonanza per l’amplificazione, la diffusione e arricchimento collettivo (anzi, connettivo) di saperi esistenti offline, e può essere foriero di innovazioni metodologiche laddove si cerchi di ottenere risultati mettendo a frutto la struttura relazionale che offre.

È sulla scrittura in senso più ampio che i nuovi media operano qualche cambiamento. Leggendo più approfonditamente i memos calviniani, qualcuno, come Giulio Lughi, lo aveva capito: “Dalle Lezioni emerge un’immagine di scrittura come uno strumento che solo provvisoriamente si è incarnato nel supporto cartaceo, ma le cui caratteristiche primarie sono la capacità di analisi, di progettazione, di trasformazione delle esperienze vissute.

Più che una metamorfosi la scrittura subisce un inabissamento, abbandona gli strati superficiali della testualità per passare ad una sottostante console di comando dove regna il linguaggio digitale. (…) Non si esce dalla scrittura ormai, sembra dirci Calvino, anche se l’universo testuale intorno a noi sembra sempre più sfacciatamente multimediale e immersivo”.

Lo dice bene De Kerckhove: “Il principio dell’ipertestualità permette di trattare il web come l’estensione dei contenuti della propria mente: un’idea – un termine o un certo giro di frase – ne suscita un’altra (…) in vortici e vortici di associazioni che si intersecano”. Come noi De Kerckhove ritiene che “Il futuro della letteratura non è nello schermo e non è nel flusso. Il flusso anzi uccide la letteratura. (…) L’ipertesto non è un libro. Il libro è fisso, e questa fissità è cruciale, perché oggi la sfida non è quella di accelerare l’informazione, ma di rallentarla.”

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I romanzi non somigliano alla successione dei posts di un blog, né possono scaturire da accumuli disarticolati di status o tweets che registrano i nostri sbalzi d’umore. Ci vuole progettualità, un messaggio strutturato che da un punto A arrivi a un punto B per poi tornare ad A o rimbalzare verso infiniti punti, magari dispersi negli incroci tra trama e ordito nella grande rete che si è sovrapposta a quella, ancora più grande e più misteriosa, del mondo che la letteratura si propone di riordinare come può.

Per arrivare a un qualche tentativo di sistematizzazione onesto e disinteressato c’è un solo modo. Continuare ad osservare e a pensare ciò che è al di là e al di qua della pelle, o degli occhi e degli occhiali, come Calvino faceva dire al signor Palomar, traendo dall’Italo Svevo dei diari un incitamento alla costanza e alla dedizione, oltre che quello stesso entusiasmo fiducioso nella tecnologia più importante a disposizione dell’uomo, cioè la scrittura.

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