Algebra di Twitter: la creatività dentro le regole

Esiste una nuova grammatica fatta di #hashtag e @chioccioline?
Forse ancora no, anzi, forse non esisterà mai, ma è certo che il comunicare attraverso il lancio in rete di piccoli brevi messaggi sta ridefinendo pian piano le regole del linguaggio. Il micro-blogging impone limiti e codici quasi algebrici, che proprio per la loro natura restrittiva sembrano stimolare ancor di più la creatività di chi ogni giorno li usa e li ricombina nel proprio racconto quotidiano.

“Algebra di Twitter” la definisce Hassan Bogdan Pautàs – autore di Torinoanni10 – in questo testo scritto in occasione dell’incontro “TTT03 Percorso di auto-formazione avanzata sull’uso di Twitter” , del quale vi propongo alcuni estratti.

#TTT03 – L’Algebra di Twitter
Appunti sulle Lezioni americane di Italo Calvino

Twitter sta trasformando le persone in ‘maniscalchi’ della scrittura. Ridurre un pensiero a 140 caratteri, infatti, obbliga tutti a lavorare con la lima: prova ne è il fatto che di fronte a un limite tanto stringente alcuni si arrendono e ammutoliscono, uscendo di scena. E’ una sorta di argine naturale contro l’ovvietà.(…)

In effetti, la società dell’immagine ci ha lasciati del tutto privi di un’algebra, ha spazzato via i nostri punti di riferimento in un atto di persuasione che si compie anticipando il linguaggio, finendo per inglobarlo e scolorirlo prima ancora che si manifesti.

Io non so se noi viviamo davvero in una distopia, ma penso che Twitter sia uno degli strumenti che ci permettono ancora di difenderci, di impedire che le immagini vincano definitivamente sulle parole e sulla realtà.

Se noi riusciamo a metterci d’accordo su alcuni principi chiave, infatti, poi possiamo decidere come meglio combinare Hashtag (#), Retweet (RT), citazioni (@) e codici per rendere i nostri messaggi più efficaci, e sottrarci così a due dinamiche pericolose: da un lato, corteggiare i vip; dall’altro, limitare il discorso alle poche persone che abbiamo attorno. Del resto, una struttura algebrica è proprio questo: un aggregato di una o più operazioni formalizzate che rispondono a specifici assiomi, a partire dai quali è poi possibile giungere a conclusioni più generali. Ad esempio, potremmo dire che un Follow Friday è una combinazione algebrica fra un hashtag (#) e una citazione (@)? Oppure, che una Retweet (RT) agisce su una citazione o su una somma di citazioni (@), generando una moltiplicazione. O, infine, che un Trending Topic (#TT) agisce come un’operazione di elevamento a potenza. Ma prima è necessario fare un passo indietro: bisogna trovare un accordo sociale – tra di noi – su quali siano i principi base, gli assiomi del nostro linguaggio.

Hashtag per scrittori

Il presupposto di Twitter è la brevità. Chi si occupa di innovazione sa che l’esistenza di un vincolo è il principale stimolo a cambiare ed inventare qualcosa. A Calvino i vincoli piacevano a tal punto da voler fare di ogni sua opera il frutto di una regola sistematica: “Il mio temperamento mi porta allo ‘scrivere breve’ – scriveva – e queste strutture mi permettono d’unire la concentrazione nell’invenzione e nell’espressione con il senso delle potenzialità infinite.”
Ma la brevità non basta. Trattandosi di scrittura, forse a maggior ragione perché si tratta di microscrittura, Calvino ci direbbe oggi che servono leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.
(…)
Ora, su Twitter la molteplicità è un fattore costituzionale: molteplici i mittenti, molteplici i destinatari e una focalizzazione primaria sul messaggio, intrecciando – a partire da contesti profondamente diversi, – una innumerevole varietà di codici che, per funzionare, raccolgono tracce disperse in altri media. Calvino non disponeva di Twitter, ma sembra quasi immaginarlo quando pensando a Paul Valery descrive l’archetipo di un’opera “che corrisponde in letteratura a quello che in filosofia è il pensiero non sistematico, che procede per aforismi, per lampeggiamenti puntiformi e discontinui” (…).

Calvino non lo cita, ma se volessimo trovare le tracce della molteplicità di cui parla probabilmente dovremmo farlo nelle Satire di Orazio, perché la satira latina rappresentava davvero questo: un intreccio irregolare di argomenti e stili diversi. E poi, forse, dovremmo giocare su Twitter con gli “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, riscrivendo in almeno cento modi diversi la stessa storia, anziché in una pagina – come faceva Queneau – in un solo tweet.

(…) In realtà, è come se oggi Calvino ci stesse dicendo che per vincere l’omologazione noi possiamo polverizzare il nostro io nella realtà, in modo da ricostruirne le mille sfaccettature e riscattarci così dalla nostra stessa vanità. Se non lo faremo, il rischio che corriamo è descritto chiaramente nelle Cosmicomiche, e forse ne possiamo intravvedere il riflesso nello zapping televisivo.

“Nell’universo ormai non c’erano più un contenente e un contenuto, ma solo uno spessore generale di segni sovrapposti e agglutinati che occupava tutto il volume dello spazio, era una picchiettatura continua, minutissima, un reticolo di linee e graffi e rilievi e incisioni, l’universo era scarabocchiato da tutte le parti, lungo tutte le dimensioni. Non c’era più modo di fissare un punto di riferimento: la Galassia continuava a dar volta ma io non riuscivo più a contare i giri, qualsiasi punto poteva essere quello di partenza, qualsiasi segno accavallato agli altri poteva essere il mio, ma lo scoprirlo non sarebbe servito a niente, tanto era chiaro che indipendentemente dai segni lo spazio non esisteva e forse non era mai esistito.” (1965).

Ecco, noi dobbiamo credere che lo spazio esiste ancora, e che qualcosa è possibile fare. Insomma il mondo non lo salveranno i grammatici, perché quando arriva la grammatica muore la poesia. E non lo salverà nemmeno Twitter, perché la tecnologia non può essere un feticcio. Twitter, al più, ci sarà servito per difenderci. E questo, per poco che sia, continua a restare importante.

Hassan Bogdan Pautàs
@TorinoAnni10

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