“Show don’t Tell”: cos’è davvero e come si applica la regola mentre si scrive un libro

focalizzare la scrittura sull'azione dei personaggi

E’ un difetto che riscontro spesso revisionando un libro, l’autore, specie se alle prime armi, tende a voler spiegare le intenzioni e i pensieri dei suoi personaggi. Cade cioè nella trappola del raccontare piuttosto che mostrare. Vi suona familiare?

Quando la scrittura sposta l’attenzione su ciò che un personaggio sente, si chiede, pensa, invece di fare in modo che il lettore veda, pensi e senta insieme al personaggio, non facciamo che aggiungere degli strati alla narrazione, come dice l’editor Luise Harnby, più il lettore si sente vicino a ciò che viene narrato, più immersiva è l’esperienza.

Può aiutare a pensare in termini di quanti strati i lettori devono attraversare per vivere la storia attraverso il punto di vista di un personaggio.

Quel livello extra aumenta la distanza narrativa, e personalmente credo tradisca un certo grado di presunzione da parte dell’autore, come se il lettore non potesse veramente capire fino in fondo ciò che vuole comunicare.

Partiamo quindi dal presupposto che quando si sceglie di raccontare una storia da un punto di vista limitato, il lettore è già nella posizione perfetta per sapere che quando c’è un odore, viene annusato;
quando c’è un oggetto davanti agli occhi di un personaggio vedente, viene visto;
quando elabora delle idee nella propria mente, sta pensando;
e che quando l’emozione è in gioco, il nostro personaggio la sente.

Stabilita questa regola, vediamo alcuni esempi pratici per accorciare la distanza narrativa applicando la regola dello Show don’t Tell.

Esercizi di scrittura immersiva

Date un’occhiata a queste frasi:

Allungò la mano per accendere la luce. L’attico era vuoto.

Prese il telefono per chiamarla. Lei rispose al terzo squillo.

Esco dalla macchina per dirigermi verso la casa. Le tende sono aperte, quindi sbircio dalla finestra. Non c’è nessuno.

In tutti e tre i casi la scrittura descrive un personaggio che va da un punto A un punto B. Ma, in quanto lettori, su cosa si concentra la nostra attenzione? Sull’azione o sull’intenzione dei personaggi di agire?

Le emozioni nella storia
Syuzhet Analysis

Ora guardate cosa succede quando modifichiamo le frasi attraverso una congiunzione:

Allungò la mano e accese la luce. L’attico era vuoto.

Prese il telefono e la chiamò. Lei rispose al terzo squillo.

Esco dalla macchina e cammino verso la casa. Le tende sono aperte, quindi sbircio dalla finestra di plastica. Non c’è nessuno.

Nel 1° esempio, adesso stiamo compiendo l’azione di accendere l’interruttore con il personaggio, mentre nella prima versione sebbene scopriamo l’attico vuoto, la luce non si è mai accesa; tutto ciò che avevamo era l’intenzione di farlo.

Nel 2° esempio, la donna può finalmente rispondere al terzo squillo perché il personaggio ha fatto la chiamata, piuttosto che alzare il telefono con l’intenzione di mettersi in contatto con lei.

Infine, nel 3° esempio, i lettori sono concentrati sul percorso verso la casa, non sul motivo per cui io (personaggio) esco dalla macchina (per andare verso la casa). Ora che cammino piuttosto che uscire dall’auto, posso arrivare a quella finestra e sbirciare all’interno.

Le congiunzioni non sono l’unica opzione per modificare la narrazione dal raccontato al mostrato. Si può, ad esempio, giocare con la punteggiatura per imprimere ogni volta un ritmo differente alla frase:

Esco dalla macchina, cammino verso la casa, sbircio dalla finestra di plastica. Le tende sono aperte. Non c’è nessuno.

Esco dalla macchina. Cammino verso la casa. Le tende sono aperte, sbircio dalla finestra di plastica, non c’è nessuno.

Senza dubbio, esistono contesti in cui l’intenzione di agire è e deve rimanere tale. Come quando un personaggio è bloccato, vorrebbe compiere un’azione ma non può, o ancora quando progetta un’azione, descrive ciò che è nei suoi piani e dunque qualcosa di imminente che potrebbe accadere.

Ho preso una decisione. Userò il serbatoio di benzina per distruggere la casa. Questo le darà una lezione.

Le preposizioni (per, a) o l’eccessivo uso di subordinate (in modo che, nel tentativo di, ecc…) posso essere la spia che ci rivela se stiamo trasgredendo alla regola dello Show don’t Tell, ma possono anche tornarci utili se intendiamo rallentare volutamente il ritmo della narrazione, ad esempio dopo una sequenza più concitata così da far passare il lettore attraverso una gamma differente si emozioni.

Show don’t Tell e Punto di Vista

In linea generale bisogna assicurarsi che il racconto sia plausibile, coerente cioè con il punto di vista dei personaggi e del contesto in cui sono immersi.

Facciamo qualche altro esempio:

Salto oltre il muro e atterro sul terreno molle. Il pastore tedesco mi mostra i denti, preparandosi a mordere.

Il ragazzo era una spina nel fianco, non aveva fatto altro che rallentarla tutto il giorno. Lo spinse forte alle spalle. Lui afferrò il bordo della barca per non cadere.

Nel 1° caso siamo nei panni del personaggio. Va tutto bene finché non incontriamo il cane, che ci mostra i denti. Poi, la descrizione va troppo oltre suggerendoci anche l’intenzione del cane di mordere. Forse il cane è stato addestrato a ringhiare. Forse è più un avvertimento che un attacco imminente. A ogni modo, ciò che conta è che non siamo nella sua testa, quindi non possiamo sapere ciò che farà. Cosa che ci lascia anche un po’ più sulle spine, la scena potrebbe terminare con il personaggio che viene morso o che scappa indenne.

Nel 2° caso abbiamo accesso ai pensieri della protagonista, tramite il discorso indiretto, però non sappiamo quali siano le intenzioni e le motivazioni dell’altro ragazzo. Possiamo fare delle ipotesi osservandolo dall’esterno (alle sue spalle) ed è probabile che afferri il bordo della barca per non cadere, certo, ma perché non lasciare che il lettore faccia il lavoro?

Nello spazio tra le frasi abita il lettore
Estratto da TEDx Talks di Jonny Geller “What Makes a Bestseller? “

Adesso provate a ripetere lo stesso esercizio sul vostro testo. Come procede? State semplicemente raccontando o state mostrando la vostra storia al lettore? Aspetto i vostri commenti, e se avete bisogno di aiuto siamo a vostra disposizione

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3 risposte

  1. Il ragazzo era una spina nel fianco, non aveva fatto altro che rallentarla tutto il giorno. Lo spinse forte alle spalle. Lui afferrò il bordo della barca per non cadere.

    Lui afferrò il bordo della barca per non cadere
    “perché non lasciare che il lettore faccia il lavoro?”

    Sono d’accordo. Davvero. Però, mancandomi il contesto, mi sono chiesto: e se il nostro protagonista fosse stato “la spina nel fianco”? Quell’acuta, pungente e dolorosa spina in cui probabilmente mi sarei potuto immedesimare già dalla prima riga del romanzo? In questo caso sarebbe stato vitale per me sapere e saperlo subito che quel bordo scivoloso per tutti sarebbe stato invece una presa sicura per un un figlio di puttana come lui.

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